IL SIGNORE SENZA ANELLI
di Roberto Cotroneo
Se fosse un episodio soltanto,
un semplice kolossal con cifre
da capogiro, una messa in scena cinematografica
come non se ne erano
mai viste prima, ci sarebbe poco
da scrivere su questa kermesse non
stop dedicata al “Signore degli anelli”.
Se fosse solo questo, potremmo
ragionare sul perché ci sia molta gente,
e soprattutto bambini e ragazzini,
che ha voglia di rimanere per più
di nove ore in una sala cinematografica
per vedersi tutti, e tutti di seguito,
i tre episodi del film tratto, in
modo fedele e assai preciso, dal romanzo
fiume di Tolkien. Ma non è
questo. O meglio non è solo questo.
Ci sono una serie di elementi che
andrebbero analizzati meglio. E che
ci dicono moltissimo di questomondo
in cui viviamo, e del perché questo
evento sia un successo da un lato
e un fenomeno preoccupante dall’altro.
Ma andiamo con ordine. Per
prima cosa sgombriamo il campo
da una serie di equivoci. “Il Signore
degli anelli” di Tolkien è un libro fin
troppo famoso. Su cui si è scritto
tutto. E su cui pende una condanna
ideologica piuttosto forte. Come tutte
le condanne ideologiche non sempre
è giusta. E deve generare diffidenza.
Libro di destra. Meglio ancora:
libro chiave di una certa cultura
di destra. Non è un caso che il romanzo
sia stato tradotto e curato da
un intellettuale di destra come Quirino
Principe (tra l’altro famosomusicologo),
e che di questo libro si sia
occupato con serietà, un altro intellettuale
vicino a posizioni culturali
della destra come Elemire Zolla.
Non è un caso che in Italia “Il signore
degli anelli” sia stato pubblicato
dall’editore Rusconi, vicino alla
destra. E che sia stato ignorato da buona
parte della cultura dominante italiana.
Questo primo elemento va tenuto in considerazione,
ma non ci porta da nessuna
parte. Siamo nel puro luogo comune. Come
per tutti i luoghi comuni che si rispettino
è assolutamente vero. Ma non ci interessa
più di tanto. Fa parte della cultura di
destra Celine, e persino Nietzsche, e nessuno
può negare che siano due straordinari
intellettuali e filosofi di questo Novecento,
fa parte della cultura di destra buona
parte del catalogo dell’editore Adelphi,
che è oggi il più colto e importante editore
italiano. Quindi se Tolkien è stato ignorato
a sinistra, e se per molte generazioni
“Il Signore degli anelli” è stato un libro da
evitare, questo non vuol dire che non potrebbe
essere riscoperto oggi.
Ma questa è storia passata. Il presente è
un film ambiziosissimo, un fenomeno
mondiale che è entrato nell’immaginario
dei nostri figli. Non solo perché il cinema
ha mostrato di questo libro il suo aspetto
più spettacolare. Ma per un altro motivo:
perché mette in scena non soltanto grandi
lotte e grandi battaglie, eroi e tenebre,
ma una filosofia. Esattamente come fa e
ha fatto un’altra grande trilogia di grande
successo, che è quella di “Matrix”. I ragazzini
che vedono per nove ore di seguito
“Il signore degli anelli”, assistono a una
teorizzazione delmale, comemai era accaduto
prima. Una teorizzazione del male
terribile, cupa, di fatto senza scampo.
Una filosofia delle tenebre che atterrisce.
E non perché il male nella storia di
Tolkien, e ancora di più nel film, è rappresentato
da mostri quasi invincibili e raccapriccianti.
Ma perché è un’idea del male
che spazza via tutti i distinguo e i ragionamenti
che su questo concetto sono stati
formulati in almeno duemila anni di filosofia
e di teologia.
L’idea che corre per tutto il film è un’idea
del male come assoluta negazione del bene.
Per chi non conosce abbastanza le
idee filosofiche che stanno dietro questo
concetto, posso dire che in tutto il pensiero
occidentale ci sono due modi di pensare
il male. Come la negazione dell’essere
(ovvero il non-essere), oppure come una
dualità dell’essere. In pratica: o il male è il
nulla assoluto, oppure il male è contenuto
nel bene, nell’essere, ed è una sua contraddizione
interna. Per capirci ancora
meglio. O il male è un mistero insondabile
e orribile, con cui non abbiamo nulla a
cui spartire. E questa è la visione attribuibile
a Tolkien. Oppure il male ci arriva
dalla filosofia e poi dal cristianesimo. E
dice, semplificando ma non troppo, che
persino Satana è una creatura di Dio. Un
grande filosofo italiano del secondo Novecento,
Luigi Pareyson, scriveva: «che Dio
contiene in se stesso una traccia del Male
».
Non è una follia. È l’idea che fa del Cristianesimo
una religione importante, e dell’Occidente
un mondo sostanzialmente civile.
L’idea del male come elemento della
realtà, del male come possibilità dell’esistenza,
aiuta a combatterlo quando si manifesta,
e aiuta a capirlo. Persino la psicoanalisi
è figlia di quest’idea che chiamiamo
dualistica. Quando ci dice che nella nostra
vita noi conviviamo con il male, che è
una parte di noi.
Ma quando i nostri figli vanno a vedere
Tolkien al cinema, si fanno un’idea ben
diversa. E ancora più radicale di quella
che hanno avuto nel passato i semplici
lettori di Tolkien. Perché il cinema è immagine,
il cinema rappresenta e mette in
scena in fantasmi della mente. Il male
come materia. In quelle nove ore i ragazzi
stanno nelle tenebre del male e nelle tenebre
della materia. Il male come materia è
un concetto ben chiaro a certi mistici, e
arriva dritto dritto da un filosofo neoplatonico
che si chiamava Plotino, e che diceva:
il male è mancanza, assenza. E poiché
la materia (al contrario della luce) è assenza,
il male è nella materia. Dunque non è
difficile aggiungere un’altra cosa ancora.
Se il male è la materia, il male è il mondo.
Dunque il male va combattuto con le armi
del bene, ma va combattuto annientandolo.
Attribuendo al male una diversità
terribile che non accetta compromessi.
Il male che l’industria del cinema consegna
alla coscienza dei ragazzi che vanno a
vedere “Il signore del anelli” è di questo
tipo. I mostri vanno annientati, i mostri
sono più mostruosi di qualsiasi immaginazione
plausibile. Il male è un potere
oscuro e incontrollabile, alieno, che non
seduce, e che si presenta nel campo di
battaglia con le sue insegne.
Ma cerchiamo di non cadere in un equivoco.
Tutto questo non è un ragionamento
sofisticato di chi ha letto qualche libro.
Tutto questo è il messaggio autentico di
questo portento di effetti speciali che ha
invaso i nostri cinema, ed è un messaggio
che capiscono anche i bimbi più pic-coli.
Non è una facile variante del cattivo delle
favole. È molto di più. Non è l’idea che il
male va combattuto e compreso, affinché
non si ripeta. Non è la consapevolezza
che il male sta dentro di noi. Ma è il
contrario: il male in Tolkien sta altrove,
non è parte di noi, non è qualcosa che ci
appartiene da sempre. E nel momento in
cui io posso decidere che il male è altro da
me, totalmente altro da me, posso decidere
che quel male da annientare va cercato
da un’altra parte. È la logica delle persecuzioni,
dell’annientamento altrui: di tutti i
colori, di tutte le ideologie e di tutti i
tempi.
La logica dei persecutori degli eretici e dei
diversi, degli ebrei e degli oppositori di
regime, è la logica dei totalitarismi di ieri
e dei fondamentalismi di oggi, che hanno
nell’idea di purezza e nell’orrore per la
bassa materia del mondo, la base più terribile.
Tolkien teorizza con capacità letterarie
fuori dal comune questa semplificazione
del mondo, questa filosofia dimezzata a
uso dei più in-genui, e dei meno attrezzati
a capire: ovvero i più giovani. Inutile
dire che Tolkien fu uomo assai colto, che
insegnò per decenni a Oxford. Non basta.
È più utile rendersi conto di come il suo
“Signore degli anelli”, oggi ancora più impressionante
per la potenza visiva che porta
con se il cinema, porti a queste conseguenze.
Ho cercato di spiegare l’altro giorno
a un ragazzino, figlio di amici, spettatore
entusiasta di mostri e ragni tolkeniani,
che il male assoluto esclude la possibilità
della redenzione. Che la lotta del bene su
un male che non ti appartiene, che attraversa
le tenebre del mondo, porta a una
vittoria finale, come nel “Signore degli
anelli”, ma cancella ogni possibilità di salvezza.
E che l’idea del male come dualità,
aiuta a far sì che certe cose non si ripetano.
C’è un cinema didascalico, e c’è un cinema
geniale che aiuta a camminare per il
mondo . Il primo è quello del “Signore
degli anelli”, il secondo, per fare un esempio,
si può leggere in un piccolo episodio
di “Schindler’s List”, di Steven Spielberg,
un episodio che amo citare spesso. Come
tutti sanno “Schindler’s List” è la storia
vera di Oscar Schindler, che salvò migliaia
di ebrei dalle persecuzioni e dai forni
crematori, assumendoli nelle sue fabbriche
come operai. C’è un momento del
film, un momento terribile e drammatico,
dove i tedeschi entrano in un ghetto
ebraico, e fanno un rastrellamento: uccidono
persone, prendono le donne, le separano
dai loro figli. È la rappresentazione
del male vero, della barbarie, non sono
ragni giganteschi o creature mostruose.
Sono uomini. A un certo punto i nazisti
entrano in una casa, sfondando le porte
con i fucili, e in quella casa c’è un pianoforte
verticale. Un ufficiale appoggia il
suo mitragliatore sul pianoforte. Si siede
davanti alla tastiera e comincia a suonare
magnificamente. Tutti i suoi compagni di
barbarie interrompono per poco la loro
scia di sangue, e ascoltano ammirati una
“Invenzione a due voci” di Johann Sebastian
Bach. Di più: uno di loro corregge
indignato un commilitone che aveva osato
scambiare Bach con Mozart.
Questo è il male che dovremmo spiegare
ai nostri figli. L’idea che l’orrore convive
con la passione per le cose belle, con la
grandezza della musica, con la potenza di
certe filosofie e di molta letteratura. Non
quel male altro, quel male che assomiglia
in un modo terribile al bene, che vediamo
nella maratona infinita tratta da Tolkien.
Ora qualcuno mi darà del moralista, o mi
dirà che sono antico e arcaico. Che faccio
della filosofia su qualcosa che non è altro
che un grande spettacolo, che “Il signore
degli anelli” è cinema con la “C” maiuscola,
che è pura evasione. Che è una favola,
che è una storia di avventure. E posso
rispondere che forse il vero luogo comune
di questa storia sta proprio in una considerazione
del genere. L’idea che le favole
sono manichee, l’idea che i ragazzi si
debbano divertire solo attraverso uno
schematismo a buon mercato, anche se in
questo caso il buon mercato consiste nei
milioni e milioni di dollari spesi e incassati
per questo prodotto di evasione.
C’è un libro di evasione che hanno letto
milioni di ragazzi. È di Robert Luis Stevenson,
e si intitola “L’isola del tesoro”. Una
storia di pirati, da cui sono stati tratti
molti film. “L’isola del tesoro” è un romanzo
sul male: sull’ambigutà del male.
Dove il male è impersonificato da Long
John Silver, il pirata con una gamba sola.
L’uomo che ti può incantare per la sua
affabilità e ti può tradire in ogni momento.
Capace di essere un grande compagno
di viaggio e un terribile assassino. Nessuno
riesce a immaginare le nefandezze di
cui è capace. E il protagonista del libro,
Jim Hawkins, non a caso un ragazzino,
sarà il primo a farne le spese. John Silver
non si può combattere fino in fondo, non
si può annientare come i mostri di
Tolkien, e alla fine del libro sarà l’unico
pirata a salvarsi la vita e a fuggire con una
parte di bottino. Silver non annega nel
nulla delle tenebre, quelle tenebre nemiche
del bene, della luce e della purezza.
Non basta un anello per neutralizzare
quel mondo. Perché non ci sono mondi
senza John Silver, e questo lo sperimentiamo,
drammaticamente, ogni giorno.
Riusciremo a spiegare ai nostri figli, affascinati
dalle nove ore di spettacolo del
film tratto da Tolkien (ancora più persuasivo
e affascinante del libro), che come ha
scritto il filosofo Hans Jonas in un celebre
saggio - “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”
del 1984 - neppure Dio, buono
ma non onnipotente, è in grado di impedire
che nel mondo esista il male?
Salve Cotroneo, ho letto con interesse e attenzione il tuo articolo di oggi, su cui dissento in buona parte. Visto che ti leggo sempre con interesse ho pensato di inviarti le mie considerazioni su quanto hai scritto.
1) Credo che non si possa parlare di Tolkien senza calarsi nel contesto storico e sociale in cui il libro è stato scritto. Per un inglese reduce dalla Seconda Guerra, e non solo per lui, il Male Assoluto, incapace di pentimento era stato dietro l'angolo per un bel po' di anni: Hitler, un Sauron purtroppo in carne e ossa. Credo che in quegli anni immaginarsi un male assoluto fosse molto più facile che oggi.
2) Pur relativamente recente, la saga di Tolkien ha forti legami coi miti nordici -di cui riprende immagini e schemi - i quali d'abitudine rappresentano una realtà più manichea rispetto a quelli mediterranei. Se questo sia positivo o negativo per i giovani è quantomeno discutibile, ma certo è che la fiaba - la pre-pre-filosofia dei bambini - è per sua natura quanto di più manicheo esista: dal lupo di Cappuccetto Rosso, alla strega della Bella Addormentata, via via fino allo Scarafoni della Freccia Azzurra. Nessuno di questi personaggi ha mai avuto la benché minima intenzione di pentirsi e non a caso sono visti da ogni bambino come i "cattivi". L'Isola del tesoro è l'eccezione a una regola che da
sempre suggerisce di creare mondi con buoni o cattivi su cui i bambini
possano formarsi certezze e valori.
3) Comunque, nel Signore degli Anelli le commistioni bene-male non mancano affatto (Gollum-Smeagol è l'esempio più eclatante, ma gli stessi Bilbo e Frodo hanno costanti tentennamenti). Anche "possessioni" e i conseguenti "esorcismi" (per esempio Theoden liberato da Gandalf) vanno letti in questo senso, come allegoria di cedimenti, travagli interiori, pentimenti. Finalmente, la partenza finale di Bilbo e Frodo è una dichiarazione di presenza del male nel bene, un'allegorica uscita volontaria dal paradiso terrestre del mondo felice degli Hobbit.
4) Il male non è sempre cupo e spaventoso, anzi sa essere affascinante (l'anello, i Palantir) e subdolo, per portare dalla sua parte anche i più solidi. E' anche sfaccettato, configurandosi a volte come desiderio di potere, altre come depressa rassegnazione (uno stato d'animo che nelle culture anglosassoni è considerato "male", da cui il grande successo del Prozac che lo occulta).
5) Tra i numerosi messaggi positivi per le generazioni giovani, sottolineo quelli che ritengo più importanti: l'idea di Gandalf che le armi del "male" (nella circostanza proprio l'anello) non debbano essere usate neanche a fin di bene (una riflessione su questo sarebbe utilissima a tanti "nostri" leader politici, che sognano una TV alternativa per battere Berlusconi) e l'immagine di combattere la guerra senza odio per l'avversario, solo a scopo difensivo, per difendere la propria vita (non è un caso se l'obiettivo della Compagnia è distruggere l'anello, non Sauron, a cui si risponde solo perché aggrediti).
Insomma, per tornare nella complessa realtà della nostra civiltà italo-cattolica, in cui leader politici sono arrivati ad allearsi con la mafia convinti di fare il bene del "popolo", forse un po' meno commistione bene-male e un po' più di "manicheismo morale" tolkieniano ci avrebbero fatto del gran bene.
Un saluto cordiale,
Alberto Biraghi
E poi, vogliamo ricordarci il discorso di gandalf sull'opportunita' o meno di dare la morte con facilita' e la frase, ahime' tagliata nel film, sul merito di gollum per avere buttato l'anello in monte fato?
Posso essere in disaccordo con quasi tutto? lo schema prettamente duale potrà anche essere forte nel film, ma nel libro e soprattutto nelle opere di Tolkien che raccontano la storia della Terra di Mezzo - Il Silmarillion in particolare - le cose sono decisamente diverse. Cominciamo da Melkor, il primo dei cattivi, ex Valar e quindi inizialmente un buono che più buono non si può: la sua storia è assolutamente speculare a quella di Lucifero; Sauron stesso era una divinità, prima di rimanere affascinato dal lato oscuro. Nel complesso le similitudini con la mitologia cattolica mi sembrano decisamente evidenti.
Sui luoghi comuni del libro di destra: anche chi non ha letto L'anello che non tiene non può rimanere perplesso al pensiero di Fini che si stona con l'erbapipa, o di una compagnia formata da genti di 5 razze diverse che non cercano di sopprimersi a vicenda.