Un caso di colpevole silenzio
L'Unità del 7/11/2004
di Maria Grazia Gregori
Un caso di colpevole silenzio. Un intreccio di disinteresse, di omertà. Un'angosciosa pagina di storia che non ha mai conosciuto la parola fine, scritta con la morte dagli ultimi, i nuovi dannati della terra, alla ricerca di un destino migliore, si è trasformata in teatro: così è nata La nave fantasma. Uno spettacolo che lascia il segno, accolto con grandi applausi dagli spettatori e che coniuga, in un equilibrio perfetto, Brecht e il suo teatro senza illusioni con il cabaret, quello vero, di denuncia, non rinnegando, ma anzi provocando il riso e improvvisando, quando occorre, per metterci sotto gli occhi la verità. Una «rivista politica» senza bisogno di megafono. Un teatro civile, di denuncia, di domande che chiedono una risposta. Succede al Teatro della Cooperativa , una sala della periferia milanese che con coraggio e pochi mezzi persegue una linea di lavoro che vuole fare i conti con la memoria e con le piccole, grandi vicende di chi vive ai margini della Storia con la maiuscola.
Il «caso» da cui nasce lo spettacolo al quale è da augurare una lunga vita è vero, anzi ultravero e l'Unità se ne è occupata a più riprese fin dal giorno in cui Renato Sarti, drammaturgo, regista e attore nonché autore di quel Mai morti spesso preso a bersaglio dallo squadrismo fascista, ebbe la «pazza idea» di portare in scena l'atroce destino di 283 emigranti clandestini venuti dal Pakistan, dall'India, dallo Sri Lanka: colarono a picco nel corso di una tempesta forza sette, su una delle tante carrette del mare, l' F-174, fra Malta e la Sicilia di fronte a Portopalo, in acque intrenazionali, nella notte di Natale del 1996, proprio nei pressi dell'antico Capo Pachino nome che riporta subito alla memoria una celebre qualità di pomodoro. Pochi i sopravvissuti sbarcati sotto choc sulle coste della Grecia, ma con la memoria ben viva di quelli che sono rimasti là, sotto il mare: un lutto eterno per le famiglie. Eppure tutti sapevano a Portopalo, perché le reti gettate per il pesce tiravano su cadaveri, teste e anche passaporti come quello di Anpalagan Ganeshu, di 17 anni, pakistano di etnia tamil. Solo qualche giornale in quel tribolato fine secolo cerca di vederci chiaro, fino a quando un pescatore rompe il silenzio, i sussurri diventano boato e arrivano fino a Roma e a un giornalista di Repubblica, Giovanni Maria Bellu, che va in Sicilia per verificare, grazie a un piccolo robot in grado di fare riprese a quelle profondità, la verità.
Chi ha visto e vedrà il filmato che chiude La nave fantasma (spettacolo che dovrebbe essere frequentato in massa dalle scuole) fra scarpe che galleggiano, ossa che spuntano da mucchi di stracci e i corpi dei morti chiusi nel sudario dei loro vestiti non potrà dimenticarlo facilmente. Quelle immagini che da noi hanno provocato l'appello di quattro premi Nobel (Rita Levi Montalcini, Dario Fo, Renato Dulbecco, Carlo Rubbia), e alcune interpellanze parlamentari rimaste senza seguito, sono un urlo muto ma assordante, che non lascia scampo.
Come rappresentare tutto questo? Innanzi tutto credendo fermamente nella forza di denuncia del teatro. E poi scegliendo fra due possibilità: raccontare i fatti nudi e crudi o allargare lo sguardo al complesso problema dell'emigrazione ricordandoci quando eravamo noi a partire in cerca di fortuna e di libertà. Sarti, Bellu e Bebo Storti hanno scelto questa seconda possibilità costruendo uno spettacolo a capitoli, che non lascia nulla al caso, semplice e immediato, forte e civile. Un cabaret tragico, scandito dalle belle musiche di Carlo Boccadoro, dove si ride perfino di fronte ai fatti più crudi grazie all'impagabile capacità di dire cose feroci con un'ironia dissacrante dove il riso suona più sinistro di un grido. È un riso nero, luttuoso quello provocato da Renato Sarti e da Bebo Storti, in scena per circa tre ore, bravissimi a cambiare a vista personaggi e pelle. Esilarante la sequenza nella quale Storti, come una specie di Fregoli, assume identità diverse: sindaci, preti, ammiragli, politici di entrambi i poli citati con nome e cognome, fino alla strepitosa imitazione del leghista Borghezio che non ha nulla da invidiare al personaggio reale.
Una rete, una lunga canna di gomma, stivali e tute da pescatori anch'esse di gomma, un mobile che si spezza in due nel momento in cui l'imbarcazione cola a picco quando si scontra con la nave che ha trasportato all'ultimo appuntamento, dopo un periplo per il mondo fra minacce e ruberie i clandestini, bastano e avanzano per raccontare, anche grazie ai bellissimi disegni animati di Lele Luzzati che rappresentano come meglio non si potrebbe la tragica odissea di questi profughi. Spesso coinvolgendo il pubblico (Sarti crede in un teatro che ha bisogno della partecipazione dello spettatore tolto alla sua flemma) ecco messi a confronto le migliaia di parole scritte e dette a proposito di un annegamento eccellente come quello della contessa Vacca Agusta in quel di Portofino e il pochissimo scritto su quella che gli autori chiamano «la più grande tragedia navale avvenuta nel Mediterraneo dalla fine delle Seconda guerra mondiale». Forse perché i protagonisti erano dei poveri cristi? Perché certo se fossero stati dei finanzieri...
Tutti noi che siamo lì ci sentiamo coinvolti in questo grottesco e luttuoso balletto di mancanze, di tragedie e di menefreghismo e anche noi partecipiamo alla terribile tempesta che trascinerà giù nel mare centinaia di persone chiuse dentro la stiva senza che nessuno, a partire dall'equipaggio e dal comandante dell'ultima nave che li ha scaricati e poi speronati, muova un dito per salvarli. E mentre sulla scena Sarti e Storti danno voce alle testimonianze dei sopravvissuti, alcuni spettatori tirano funi, fanno i rumori della tempesta e noi con loro battendo con due dita della mano destra sul palmo della sinistra, ma anche pestando i piedi quando la rabbia del mare a forza sette si fa ancora più violenta.
Ormai non si ride più: le mute immagini dei resti di quest'odissea di poveracci, giù nel fondo nel mare, chiudono questa tragica storia in un silenzio più eloquente di mille parole. Grazie a Sarti, Storti e Bellu che ci hanno ricordato che il teatro è anche un rito pubblico, politico e laico.
Dalla scheda dello spettacolo pubblicata sul sito del Teatro della Cooperativa
Il 25 dicembre del 1996, nel mare tra la Sicilia e Malta, affondò un piccolo battello carico di immigrati provenienti dall’India, dal Pakistan e dallo Sri Lanka. Le vittime furono 283: la più grande tragedia navale avvenuta nel Mediterraneo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nonostante le precise testimonianze dei superstiti, i mass media, eccetto rare eccezioni (Manifesto, Narcomafie), non se ne occuparono e le autorità si mostrarono da subito molto scettiche: tanto scettiche che la tragedia del Natale 1996 divenne il naufragio fantasma.
Gli stessi pescatori della zona, che recuperarono decine di cadaveri nelle reti a strascico, temendo conseguenze per la loro attività, li ributtarono sistematicamente in mare.
Solo cinque anni dopo, con un reportage reso possibile dalla testimonianza di un pescatore di Portopalo (paese nell’estremo lembo meridionale della Sicilia), il quotidiano La Repubblica, attraverso un’inchiesta del giornalista Giovanni Maria Bellu, riuscì a individuare il relitto in fondo al mare e a filmare i resti dei corpi che ancora oggi lo circondano.
Nel giugno del 2001 le immagini della nave fantasma furono trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo. Ma - nonostante l’appello di quattro premi Nobel italiani (Renato Dulbecco, Dario Fo, Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia) e alcune interpellanze parlamentari – dopo sette anni, ancora nulla è stato fatto per recuperare il relitto e i corpi delle vittime, restituire loro dignità e ri-consegnare questo episodio alla Storia senza menzogne ed omertà.
La nave fantasma è una sintesi drammatica della vasta problematica connessa al tema dell’immigrazione: la disperazione degli immigrati, il silenzio delle autorità e dei mass media, la ferocia dei trafficanti di esseri umani, la terribile indifferenza e paura della nostra società.
E’ una vicenda che fa emergere la grande distanza che separa le dichiarazioni di principio sulla solidarietà e l’eguaglianza dei diritti, dalle azioni concrete di istituzioni e cittadini.
Il testo è stato scritto da Giovanni Maria Bellu (autore dell’inchiesta giornalistica) e Renato Sarti (che ne curerà la regia), in collaborazione con l’attore Bebo Storti.
Benché basato su una rigorosa cronaca degli eventi – tradotta sulla scena attraverso i racconti dei protagonisti, ma anche con l’utilizzo di materiale video e la creazione di piantine e percorsi tramite videografica - l’intento registico è quello di fare ricorso a tutti gli elementi tipici del teatro comico e del cabaret quali l’improvvisazione e il rapporto continuo e diretto con il pubblico.
Gli oggetti di scena, le parole e i gesti degli attori, la scenografia non rimarranno costretti nello spazio della scena, ma invaderanno la platea. In scena gli stessi Bebo Storti e Renato Sarti che, in una sorta di cabaret-tragico estremo e scioccante, coinvolgeranno gli spettatori nella rievocazione di una tragica vicenda e nella riflessione su uno degli argomenti più scottanti dei giorni nostri: toccherà infatti loro rispondere ai quesiti di un ironico e paradossale quiz televisivo, ma anche restituire la testa staccatasi dal corpo martoriato di un manichino-immigrato colmo d’acqua; così come - in parte - il difficile compito di ricreare, nella scena finale dell’annegamento, l’inferno che coinvolse i 283 disperati del battello F-174.
Un meccanismo teatrale diretto, nel quale l’esile diaframma della quarta parete rivela qui tutti i suoi limiti e non regge l’impatto: La Nave Fantasma è una tragedia che deve riguardare - e soprattutto scuotere - le coscienze di noi tutti.
Mi ha fatto molto piacere questa mail dal teatro della Cooperativa
From: "Teatro della Cooperativa"
To: "Alberto Biraghi"
Caro Alberto,
grazie mille.
tdcoop