Non preoccupatevi, non
stanno litigando, stanno
solo giocando. Lo
fanno per noi, per rendere
meno noiosa una campagna
elettorale lunga un anno, regalarci
qualche brivido, tenere aperto il
campionato. Spinti dai bookmakers
che danno per scontata la vittoria
del centrosinistra nel 2006 -
dopo il precampionato delle europee
e delle regionali - i leader dell’Ulivo
hanno deciso di ravvivare il
dibattito politico. Sono dei gran
burloni e li ringraziamo.
Pensate che tristezza passare
dodici mesi a cercare un’indentità
che distingua ciò che è di sinistra
da ciò che è di destra, a stilare programmi,
a precisare interventi per
un’economia sfasciata, per un welfare
che non c’è più, per un lavoro
da sottrarre al precariato, per redditi
che precipitano, per immigrati
richiusi nei Cpt, per un’ambiente
violato, per scuola e sanità degradate,
per... Per tutte quelle cose
che costituiscono la vita quotidiana
di noi mortali. A promettere
che non ci saranno più guerre travestite
da interventi umanitaria, a
difendere la Costituzione, o - semplicemente
- a impegnarsi con tutte
le proprie energie per vincere i
referendum sulla procreazione assistita.
Oppure ad ascoltare la protesta
dei giovani dall’esistenza
precarizzata per cercare di risolvere
i problemi senza ricorrere ai carabinieri
o delegando alla magistratura
la risoluzione delle contraddizioni
di una società frastagliata:
fa più effetto che la sinistra
strappi alla destra la bandiera della
legalità e invochi l’ordine (o
emetta ordinanze). Che noia terribile
sarebbe. Meglio sorprendere
la platea con gli effetti speciali del
«divisi si vince», del «suicidio politico
», della rissa sull’attribuzione
dei collegi sicuri, del «noi siamo
più realisti del re». Anche perché -
pensate l’astuzia - magari così il
Berlusconi si illude di risalire la
china dell’annunciata fine politica
e poi - che goduria - ci rimane così
male quando perde davvero che si
ritira per sempre a villa Certosa,
triste, triste, con le sue Tv, i suoi
giornali, i suoi miliardi.
Sono dei veri geni questi leader
del centrosinistra, vogliono tenerci
sulla corda, mobilitarci per
chiedere «unità» a qualunque
prezzo, occupare le prime pagine
con le loro finte liti per distrarci
dal tedio dei problemi che annoiano
pure loro. Come non capirli: da
anni sono alle prese con questioni
irrisolte e difficilmente risolvibili,
che se affrontate finirebbero pure
per dividerli. Così nel litigio trovano
una nuova unità, quella della
rissa interna, che ha pure il vantaggio
di tenere alta la tensione;
tanto, alla fine, una qualche quadra
si troverà.
Non lamentiamoci e godiamoci
lo spettacolo, ché tra un anno ce
ne staremo incollati alla tv per gli
exit poll. E sarà una meravigliosa
sorpresa. Anche se non sappiamo
per chi.
la rabbia e i perché
di Antonio Padellaro
C’è incredulità e rabbia nelle righe che seguono. Chiediamo scusa ai lettori ma prima di procedere all’esame della grave rottura che si è consumata nell’Unione, e delle conseguenze che possono derivarne, dobbiamo lasciare spazio a uno stato d’animo che sentiamo bollire intorno a noi, e che condividiamo. I sentimenti, si sa, con la politica c’entrano poco, o non c’entrano affatto perché spesso sono irrazionali e fanno, sul momento, dire cose di cui in seguito ci si può pentire. Ma in certi casi, per arrivare al cuore dei problemi conta di più una frase irrazionale o eccessiva di tante dotte analisi politiche. Siamo convinti che anche Francesco Rutelli e i molti che nella Margherita hanno approvato le sua linea sappiano ascoltare le voci di chi in queste ore si interroga sul significato dello strappo sulla lista unitaria: quello definito da Romano Prodi «un suicidio politico». Per parte nostra possiamo testimoniare che i messaggi che ci giungono dagli elettori del centrosinistra non contengono frasi gioiose o di esultanza. Sembrano invece persone costernate che domandano, e si domandano, perché mai questa rottura sia arrivata adesso che le cose per l’Unione andavano a gonfie vele. Perché, dopo che si erano vinte tutte le elezioni possibili. Perché, quando l’avversario sembrava in ginocchio. Perché, proprio nella fase preliminare e più delicata dello scontro finale con il presidente-padrone. Perché (questo soprattutto si chiede la gente che incontriamo), ci si divide mentre ci si prepara a vincere?
Va sentita anche la gente di destra. Che sulla crisi dell’Unione guarda i titoli dei giornali e ascolta i tg con la stessa felice sorpresa di chi, rassegnato alla sconfitta, intraveda l’insperata possibilità di vincere ancora; di chi osserva il proprio campione sull’orlo del ko e poi, a un tratto, vede l’avversario dirigersi inspiegabilmente verso l’angolo. E, infatti, eccolo l’ex campione Silvio Berlusconi ridotto elettoralmente uno straccio, alla guida di un governicchio braccato dai creditori, senza più una maggioranza, sul punto di essere congedato perfino dai suoi dipendenti che, rinfrancato dalle ultime notizie sullo stato dell’Unione, come se nulla fosse, si atteggia a premier autorevole e guida sicura del Paese. Rieccolo permettersi pesanti allusioni verso la sinistra troppo divisa, troppo rissosa, troppo inaffidabile per potergli affidare il governo del Paese.
Non stiamo drammatizzando un piccolo problema ma il modo con il quale un problema serio ma non irrisolvibile è stato presentato agli italiani. Spieghiamoci meglio. Non sappiamo se dopo le decisioni della stragrande maggioranza della Margherita contro la lista unitaria dell’Ulivo, il futuro dell’Ulivo stesso possa dirsi compromesso. Parrebbe di sì ma non mettiamo limiti alla provvidenza. Né vogliamo adesso pronunciarci sulla opportunità di trasmettere agli elettori dell’Unione un annuncio che va nella direzione opposta al nome che il centrosinistra si è scelto come simbolo di intesa e coesione. Sono infatti preoccupazioni a cui è stato replicato con argomenti altrettanto motivati. È stato detto che accantonare il listone non significa affatto cancellare la Federazione dell’Ulivo che, infatti, se pur ridotto a guscio vuoto, vive e lotta insieme a noi. Si giura, poi, sul fatto che l’Unione resta tale e che marciare divisi per colpire uniti è un’eccellente tattica atta a disorientare il nemico. Quanto, infine, alle elezioni del 2006 è stata enunciata la tesi di una Margherita liberata dalle catene riformiste per meglio dedicarsi a intercettare i voti moderati in fuga dalla Casa delle Libertà. Resta da chiedersi a quale prezzo questi voti accetteranno di trasmigrare da uno schieramento all’altro. Parliamo di scelte economiche, di politiche sociali, di questioni etiche che non possono essere governate semplicemente con una sommatoria di voti e gruppi dirigenti.
La fine della lista unitaria, cioè del tentativo di concordare “prima” la direzione di marcia, equivale (ammesso che si vinca) a preparare la strada a quel «governicchio paralizzato dalle mediazioni» che Prodi considera giustamente inaccettabile. Per questo il cambio di scenario a sinistra, accompagnato da accuse e veleni (i Ds «leninisti» pronti a divorare i propri alleati) è un evento di prima grandezza e, insieme, «il più forte colpo mai assestato alla leadership di Romano Prodi» (Stefano Folli, Il Sole-24 Ore). Quello stesso Prodi che più di ogni altro si era speso per creare un baricentro a un’alleanza troppo numerosa ed eterogenea (nove partiti) per garantire cinque anni di effettivo governo, e che ora si sente straniero nella sua stessa casa. La Margherita, naturalmente, ha tutto il diritto di presentarsi da sola alle elezioni politiche nel comparto proporzionale che distribuisce il 25 per cento dei voti. La domanda è perché lo abbia fatto con tanta durezza e mettendo a repentaglio la leadership del candidato scelto e approvato dall’intero centrosinistra. Un clima di sospetto ideale, tra l’altro, per alimentare le voci più incontrollabili di un’intesa Margherita-Udc con obiettivo la distruzione dell’attuale bipolarismo e la conseguente creazione di un grande centro. Cosa succederà adesso è difficile da dire. Far decantare la situazione evitando altre ruvidezze sembrerebbe la soluzione più saggia. Qualcuno ci riuscirà? L’unico aspetto positivo, se così si può dire, è che la rottura avviene quando manca ancora un anno allo scontro finale con Berlusconi. Ci sarebbe, cioè, tutto il tempo per rimettere insieme i cocci. O per distruggere quello che resta in piedi.
riporto la chiusa di michele serra sull'"amaca" di repubblica:
"l'ottimismo è obbligatorio: il centrosinistra si presenterà alla urne in stato gassoso. impossibile fermarlo. asfissieremo il nemico"