Il machismo del Duce come educazione sessuale. E i maschi italiani divennero perbenisti in famiglia, arditi al casino
L’onda lunga della cultura da bordello. Fascista
di Bruno Gravagnuolo
Sembra un film dei Vanzina, è stato scritto. Un gigantesco affresco pecoreccio sui «nuovi mostri» di un’Italia già effigiata da Dino Risi fin dai tempi del «boom». Troppo facile, detta così. Troppo generico. Con tutta la considerazione del talento di genere dei Vanzina e di quello profetico del regista del «Sorpasso». La verità invece è più profonda e «sottile». Ciò che emerge infatti dalla «sceneggiatura» delle intercettazioni di Vittorio Emanuele e del portavoce di Fini, è una cultura ben precisa. E con matrici inconfondibili: l’eterna cultura da bordello della destra italica. Già, perché è lì la matrice di un certo modo di intendere la vita. Le relazioni, le gerarchie. Lo scambio di beni e «servizi» (ignobili e però vissuti come ovvii e naturali). Ed è lì il sigillo e il suggello giocoso del potere. Finalmente agguantato, e perciò protervamente trasgressivo. Ovvero il sesso come trofeo e giusto premio del comando. Come carta di credito e status symbol abilitante.
C’è in questo senso uno «specimen» della destra italiana, non post fascista, ma innanzitutto fascista e monarco-fascista, che continua a improntare l’«Arcitalia» qualunquista e destrorsa. E che affonda le radici prima nell’Italietta truffaldina e sabauda, che regala ville alle concubine dei Savoia. Poi nell’Italiaccia fascista e giovanilistica. Quella stregata dal machismo del Duce, eroe festivo idolatrato per le fantastiche e innumeravoli amanti. Nonché padre patriarca romagnolo. E gran sponsor demografico di prolificità imperiale: «Numero è forza!». Ebbene, malgrado gli adulteri dei Savoia, qui c’è uno «stacco» tra il paese umbertino, timorato e «pompier», e l’assalto fascista al postribolo. Qualcosa che gli storici delle mentalità dovrebbero meglio studiare per capire il vero vissuto del regime reazionario di massa: l’eros in camicia nera. Che mescolò plebeismo rurale e ceti medi emergenti. Strapaese e ambizioni urbane piccolo borghesi. Futurismo e perbenismo clericale. In una miscela vitalistica grazie alla quale i giovani rampolli medioceto - militarizzati e lanciati alla conquista del futuro - potevano scrollarsi di dosso le inibizioni dei padri liberali o cattolici. E misurarsi alla prova del «fottere», per meglio comandare «come maschia gioventù» e con «romana volontà».
Insomma, cultura del sesso da covone, campestre e romagnola (ancora Dino Risi, quello della «Marcia su Roma). E cultura del bordello da «riposo del guerriero». Tutti eretti verso il «Buce» di cui narra il Gadda di «Eros e Priapo». Verso Il pupazzone fallico idolatrato da Malaparte: «Spunta il sole, canta il gallo, Mussolini monta a cavallo». Ecco, fu il fascismo la vera educazione sessuale degli italiani. La prima, e per tanto tempo l’unica. Quella di «Cara Virginia io vado in Abissinia». Di «Faccetta nera», con corteo di concubinati poi razzisticamente temuti. E naturalmente de «Le donne non ci vogliono più bene», che gonfiva i petti dei bravi ragazzi di Salò. Vitalismo da arditi al casino e perbenismo familistico. Fu questa l’accoppiata vincente del «regime sessuale» fascista. Grazie al quale si dava la stura alle bellurie ormonali di avanguardisti e balilla sottratti all’azione cattolica. Senza spiacere altresì a Santa Madre Chiesa. Preoccupata, ma non tanto, di una pedagogia che in fin dei conti conciliava puttane e Concordato. Certo da allora è passato tanto tempo e grandi rivolgimenti del costume hanno cambiato il volto dell’Italia. Persiste però sul sottofondo l’onda lunga di quella cultura da bordello, gastroenterica e «goliardo-medioceto». Cultura di destra arcitaliana inconfondibile, tra veline, ruffiani e faccendieri. Tra bambine da «sodomizzare urlando» e «sardi che si inculano le capre» (Avanti Savoia!). E il «Ciao frocio» lanciato alla stregua di «buon giorno» dal portavoce An Sottile - quello della «porcona doc» - al suo compare per telefono. Eppure, ad onta della conclamata nostalgia per le case chiuse, quelli di An sembravano avviati almeno verso il glamour (Santanchè/La Russa). O almeno verso il gossip (Fini/Prestigiacomo). Invece gratta gratta di lì vien fuori al naturale lo spirito animale di sempre dell’«Arcitalia», sdoganato dal ventennio. Poi di nuovo sdoganato da Berlusconi. E guarda caso ancora con rinforzo savoiardo.
sottoscrivibile nell'analisi ma un po' moralista nella conclusione.
Boh, non c'è da sorprendersi se ci sono ancora in giro individui con il culto della personalità che credono di incrementare le proprie doti trombando la pulzella arrembante di turno, conquistata dal potere, dalla bella macchina, dal rolex o chissà che altro, certo che per chi abita nelle grandi città la cosa è molto più difficile, per quanto uno possa possedere tutti i più evidenti status-symbol, ci saranno sempre almeno un centinaio di fichissimi che hanno la macchina più bella, l'orologio più "in" o qualsiasi altra cosa, per cui un individuo con pesanti carenze intellettuali si senta sminuito nel culto del proprio ego materiale da ostentare con orgoglio.( i più buffi li ritengo quelli che vanno in palestra a fare "spinning", andando in giro in bici ho perso otto chili in due anni, guardando il panorama e non fissando il muro di fronte) E poi, il "machismo" mussoliniano non fa, oggi, un po'ridere? Non mi sembra che il duce somigliasse così tanto a Schwarzenegger.....
Atleticamente,Franz
Persiste però sul sottofondo l’onda lunga di quella cultura da bordello, gastroenterica e «goliardo-medioceto». Cultura di destra arcitaliana inconfondibile, tra veline, ruffiani e faccendieri.
Ho i miei dubbi..ad esempio anche la sinistra comunista (pci) ne era largamente permeata (e non solo in emilia-romagna, luogo "magico" sia dei fasci che degli stalinisti).
Ricordo che durante i primi scontri con i radicali (la fila per prendere il primo posto sulla lista elettorale) l'epiteto tipico con il quale i ragazzi di botteghe osucre chiamavano gli avversari era "froci" (in quanto già all'epoca il PR difendeva i diritti dei gay).
Per farla breve: l'idea che quel machismo fosse di carattere piccolo borghese e dunque di destra è solo parzialmente vera, nel senso che gli strati popolari, di sinistra, sull'argomento la pensavano nello stesso modo.
Ma a molti fa piacere credere che il male è male in quanto prerogativa tipica del nemico.
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