Texas, scrive con il sangue nella cella: «Sono innocente»
di Ennio Caretto
In un penitenziario del Texas, un condannato a morte di 29 anni, da 11 nel braccio della morte, si è ucciso tagliandosi la gola poco prima di venire giustiziato con una iniezione letale. E con il proprio sangue, ha lasciato scritto sul muro un messaggio di disperazione: «Non lo ho fatto io», sono innocente. Il protagonista della vicenda è Michael Johnson, della città di Waco, giudicato colpevole dell'assassinio di Jeff Wetterman, il giovane proprietario di un distributore di benzina, nel 1995. Il suo avvocato Greg White lo ha definito «vittima di un tragico errore giudiziario». «Era ancora possibile che la Corte suprema degli Stati Uniti intervenisse all'ultimo minuto. Avevo presentato ricorso» — ha dichiarato il legale — e restavano 13 o 14 ore».
Johnson, che aveva sempre protestato la propria innocenza, si è tolto la vita con una lama rudimentale, legata a un bastoncino. Pare che prima si sia tagliato un polso e abbia scritto il messaggio sul muro, poi si sia squarciato la gola. Michelle Lyons, la portavoce del penitenziario, situato a Livingston, ha riferito che i secondini ispezionano il braccio della morte ogni cinque minuti, e non avevano avuto sentore di nulla. «Alle 2,30 del mattino lo hanno informato che stavano preparando il suo ultimo breakfast. Ma quando sono ritornati alle 14,45 lo hanno trovato a terra in una pozza di sangue». Johnson è stato trasportato immediatamente in ospedale ma vi è giunto morto. A mezzogiorno il detenuto doveva essere trasferito a Huntsville, a 45 km di distanza, dove si trova la camera della morte. L'esecuzione sul lettino era stata fissata per le 18.
Per tutti gli 11 anni trascorsi in cella, Johnson aveva sostenuto di non avere ucciso Wetterman. Aveva raccontato di essersi fermato al distributore di benzina di Waco con un compagno, David Vest, ma di essere rimasto al volante. Vest era sceso, e Johnson aveva sentito degli spari. «Disse che vide il compagno uscire dal distributore» ha ricordato l'avvocato White «e balzare in auto urlando: via, via!». Ma Vest fornì alla polizia la versione opposta.
Sostenne che era stato Johnson a sparare, e al processo testimoniò contro di lui, ottenendo una condanna lieve, 8 anni di carcere. Ha protestato White: «Vest, che oggi è in libertà, e insiste di essere innocente, si smentì nel corso delle indagini, una volta ammise che era stato lui a premere il grilletto. Non so perché, la polizia non ne andò a fondo, ma annullò misteriosamente questa confessione».
L'avvocato, i cui ricorsi furono tutti respinti, non ha escluso che la famiglia del suicida chieda giustizia postuma, una revisione del processo. Ma è dubbio che la legge del Texas lo consenta. I casi di suicidio nei penitenziari texani non sono rari: la portavoce ha detto che «si possono contare sulla dita di una mano», ma secondo gli esperti se ne sono verificati almeno 7 o 8. L'esecuzione di Johnson sarebbe stata la ventiduesima dell'anno nello stato, nei cui bracci della morte sono rinchiusi 390 condannati. È meno che in passato, un segno che la campagna contro la sentenza capitale condotta dai gruppi dei diritti umani e delle libertà civili sta prendendo quota. Tra le leggi all'esame del Congresso ve n'è una che prevede una moratoria, in attesa di una riforma.
l'uomo non deve uccidere l'uomo
e nemmeno la donna..
Il problema è politico, bisogna per forza trovare un colpevole da condannare a morte per adulare l'opinione pubblica, la giustizia a quel punto c'entra poco e niente.