Premessa: è un filmone, girato in modo impeccabile, con una fotografia superba e attori (tranne l'irreggibile "
Bridget Jones", totalmente fuori parte). Consapevolezza: è piaciuto quasi a tutti. Perché è un film che porta valori positivi in un mondo occidentale in cui "la via breve" ha troppo spesso sostituito la via "giusta". Ma l'irlandese Jim Braddock è fatto di un'altra pasta: pugile tramontato che cerca di sopravvivere con la famiglia nella baraccopoli di una Brooklin in piena Depressione, obbliga il figlio a restituire il salame che aveva rubato per paura di essere mandato a stare dai parenti, perché
«noi non rubiamo».
Si è detto di tutto su
Cinderella ma,, inutile raccontarlo. La storia del pugile che lavorava al porto per sbarcare il lunario, diventato eroe popolare e simbolo dell'americano che "ce la fa" con le sue forze, contro ogni difficoltà. Quello che ogni cittadino americano vorrebbe essere, purtroppo riuscendoci sempre più raramente.
Tutto bello, tutto edificante, tutto intenso. Ma troppo. Ron Howard è fatto così, è uno che ci crede e di questo gli va dato merito. Ma è anche uno che ha capito che per smuovere la coscienza americana, resa ottusa da troppi Big Mac, troppa pubblicità, troppa paura di nemici immaginari, ci vogliono scoppoloni sempre più forti. E in effetti i pugni che Braddock dà e prende sono pugni dati agli spettatori americani per svegliarli dal loro torpore.
Il problema è che per lo spettatore europeo, più smaliziato e vigile, questo concentrato di buona retorica alla fine ottiene l'effetto opposto. I bambini che tossiscono al freddo, lui che solleva sacchi con la mano fratturata, i pugni micidiali di avversari apparentemente imbattibili (ma che vengono regolarmente battuti) sono una cascata che qui da noi può ottenere l'effetto opposto, inducendo lo spettatore a leggere Cinderella Man come l'ennesimo episodio di
Rocky, ambientato nella grande depressione tanto per cambiare un po' le cose.