La narrazione tossica dei fascisti 2.0 su nazismo e comunismo

Mai come di questi tempi, neppure quando Berlusconi non era l’odierno morto-vivente che non riesce a tenere gli occhi aperti, si è letto con tanta frequenza l’assurdo accostamento nazismo-comunismo. Un accostamento regolarmente condito con la guerra dei milioni di vittime e le narrazioni tossiche degli eventi. La nuova destra sovversiva (essa sì un fascismo 2.0 a tutti gli effetti) ha bisogno di criminalizzare l’avversario e lo fa definendo “comunista” cioè “nazista” chi non accetta di servire il suo capitano.

Le vicende di Sea Watch 3 hanno aperto le cateratte dello sbrocco libero, ovunque, dai social a Palazzo Chigi. E su tanti wall di persone insospettabili sono comparsi interventi sicuramente “criminali”, ma nei confronti di storia, filosofia, cultura e buon senso. In rare occasioni ho risposto, per esempio in questo thread dell’amico Maurizio “Dr. Feelgood” Faulisi. Ho quindi pensato di salvare qui, leggermente editato, uno degli interventi “for dummies” con cui ho cercato di far ragionare (ovviamente senza successo) qualcuno degli zucconi misologi, se non altro la prossima volta che dovessi cedere al desiderio malsano di rispondere a qualche ottuso commentatore filo-sovranista (probabilmente irrecuperabile alla ragione) non dovrò riscriverlo da capo.


L’accostamento tra nazismo e comunismo è buono giusto per gli sgangherati leader politici di questi tempi tristi. Non ho la presunzione (né i titoli) per dare lezioni, penso inoltre che ogni adulto sia responsabile di ciò che dice e sa. Mi limito a fornire un elementare (“for dummies”, appunto) spunto di riflessione sui due concetti, nella speranza che qualcuno sia spinto a leggere qualcosa in più, che a mettere in discussione i propri preconcetti c’è sempre da guadagnarci. 

Il “comunismo” è un pensiero politico complesso, poliforme, nato da un fine comune di uguaglianza e condivisione. Evoluto nel pensiero di Marx ed Engels è tra i capisaldi della filosofia politica (e non solo) del XX secolo. Nessuno può negare che nel nome del comunismo siano state compiute notevoli efferatezze, ma questo rientra nella sfera della fallibilità umana (sarebbe come dire che l’energia nucleare è “cattiva” perché è stata usata per la bomba di Hiroshima).

Al pensiero marxista, al di là del valore filosofico, vanno riconosciuti meriti indiscutibili: le conquiste sindacali (la storia della rivoluzione industriale nel Novecento), le resistenze alle dittature (la lotta allo Zarismo, lo ZOB al Ghetto di Varsavia, eccetera), la restituzione di dignità ai popoli oppressi (Cuba, Nicaragua, eccetera), anche le lotte di casa nostra, dalla Resistenza in poi, con i tentativi di restaurazione autoritaria del dopoguerra, per esempio con Tambroni. Esempi ce n’è a bizzeffe.

Viceversa “nazismo” è il nome fantasioso che un pazzo geniale, indubbiamente carismatico e creativo, ha dato al parto della sua mente malata. Un progetto sovversivo nato con obiettivi criminali, messo in pratica spietatamente fino alla auspicata caduta. Ma nel nazismo (come nella sua copia sfigata di casa nostra, il fascismo) non c’è impianto filosofico, non c’è pensiero, non c’è riferimento storico al di là degli eventi mondiali che se dio vuole l’hanno cancellato.

Poi, per carità, ognuno può crearsi le narrazioni che preferisce: io, per dire, a causa dell’imprinting generazionale ho ancora difficoltà a immaginare gli indiani come “buoni” e i cowboy come “cattivi”. Per qualcuno probabilmente succede lo stesso con nazisti e comunisti. Ma storia e filosofia sono ben altro.