Uber: la sentenza tutela una lobby, non la collettività

Tassisti contro Uber a MilanoIl blocco di Uber Pop è stato disposto in via cautelare, così come l’inibitoria del servizio. Il magistrato ha dato a Uber quindici giorni di tempo per adeguarsi, altrimenti scatteranno le penali. Secondo il giudice, Uber Pop non dà vantaggi alla collettività e svolge di fatto l’attività di taxi senza però che gli autisti siano in possesso della licenza. Nell’ordinanza si legge, infatti, che l’attività svolta da Uber attraverso Uber Pop “interferisce con il servizio taxi organizzato dalle società, svolto dai titolari di licenze”. 

Il consumatore ha un unico obiettivo: i vantaggi che qualunque servizio e impresa porta alla collettività. Tante persone rinunciano a usare l’auto in città (già di per sé vantaggio per la collettività) ricorrendo a mezzi alternativi. Tra questi, in ordine decrescente di costo/km, ci sono:

  • taxi
  • noleggio con conducente
  • uber
  • car sharing
  • mezzi pubblici
  • moto-motorini
  • biciclette
  • piedi

Come si vede, Uber è il più economico dei servizi con autista, è facilmente utilizzabile con una app molto più efficiente di quelle dei taxi, si trova con molta più facilità dei taxi anche in ore notturne e di punta, consente a tante persone disoccupate o sottoccupate di aggiungere qualche soldo al proprio bilancio. Stupisce dunque una sentenza che nega il vantaggio per la collettività prodotto da questa iniziativa.

Il taxi, al contrario, ha tariffe illogiche, nelle ore di punta, notturne o con il maltempo è difficilissimo da trovare.  Non solo. La gestione protezionistica attuata nel tempo dai tassisti è anacronistico e perdente. I tassisti hanno un forte potere di lobbying a livello comunale, gestiscono un pacchetto di voti importante e sono considerati opinion maker da tanti politici. Facendo leva su questo avrebbero potuto:

  1. sfruttare il proprio potere di lobbying per ottenere vantaggi dallo Stato, defiscalizzazioni, incentivi
  2. impegnarsi per modernizzare la propria offerta, diversificarla e renderla accessibile a fasce di utenti meno abbienti (a Hong Kong e New York, che non sono esattamente cittadine depresse,  il taxi costa una frazione di quanto costa a Milano).

Invece si sono mossi da vera corporazione, concentrandosi sul numero delle licenze (per tutelare il capitale di chi l’ha acquistata a caro, anzi carissimo, prezzo), sulla corsa verso l’alto delle tariffe (pochi minuti in notturno festivo sono un salasso e 90 euro per andare a Malpensa è quasi una rapina) e sulla lotta senza quartiere a Uber (sappiamo da voci bene informate che alcuni gruppi di taxisti hanno provato a mettersi di traverso anche sul car sharing, per fortuna senza successo).

Aspettiamo di leggere la sentenza per capire cos’è passato per la testa ai giudici quando hanno deciso che Uber non dà vantaggi alla collettività e auguriamoci che la società presenti un appello circostanziato e convincente.