Il populismo di Conte tra Perón e Mussolini

populismo di Conte

«Un populismo di situazione, capace di adattarsi alle crisi (pandemia, guerra, inflazione) per ritagliarsi uno spazio nel cuore dell’elettorato, soprattutto quello meridionale, indebolito e volatile. In questo senso, Conte ricorda certi leader della “terza via” latinoamericana o certi ex tecnocrati trasformatisi in portavoce del disagio sociale.» Una preziosa analisi sul populismo di Conte scritta da Roberto Damico sulla sua pagina Facebook. La trascrivo qui per i tanti (sempre di più) che non hanno o hanno chiuso il profilo Facebook e comunque perché non si diluisca nell’oceano liquido dei social.

Conte, tra Perón e Mussolini
Una riflessione sul populismo trasversale del leader italiano

Giuseppe Conte rappresenta un caso interessante e complesso nella politica italiana contemporanea. Da figura inizialmente percepita come tecnico e imparziale, è divenuto nel giro di pochi anni un attore politico di primo piano, con uno stile di leadership che ha attirato paragoni – non sempre lusinghieri – con modelli populisti del passato, in particolare Juan Domingo Perón e Benito Mussolini. Sebbene i riferimenti storici siano sempre delicati, vale la pena analizzare in che misura queste analogie possano illuminare alcuni aspetti della sua traiettoria politica.

L’avvocato del popolo: nascita di un leader populista
Conte debutta sulla scena politica nazionale nel 2018 come premier del governo M5S-Lega. Giurista accademico e sconosciuto al grande pubblico, viene scelto per la sua apparente neutralità e affidabilità. Ma è proprio durante quel primo governo, sorretto da due forze dichiaratamente populiste e anti-establishment, che Conte assume rapidamente un ruolo diverso: da notaio super partes a “protagonista carismatico”. Il suo celebre riferimento a sé stesso come “l’avvocato del popolo” non è una semplice trovata retorica, ma l’inizio di una trasformazione.
Il populismo di Conte è stato, almeno inizialmente, di tipo trasversale: ha saputo adattarsi a due stagioni molto diverse – il sovranismo leghista e il progressismo statalista del secondo governo, con il PD. Questa capacità camaleontica ha alimentato sia consensi sia accuse di opportunismo. In entrambi i casi, però, Conte ha sempre parlato in nome del “popolo” contrapposto alle “élite”, alle “burocrazie europee”, alle “multinazionali farmaceutiche”, o più recentemente agli “apparati militari” e al “partito della guerra”. È in questo schema binario, tipico del populismo classico, che alcuni osservatori vedono echi tanto di Perón quanto di Mussolini.

Il modello Perón: un leader sopra le parti
Juan Perón, presidente argentino più volte eletto nel XX secolo, costruì la propria fortuna politica su un mix di nazionalismo, retorica sociale e legame diretto con il popolo, bypassando i partiti tradizionali. Come Conte, anche Perón si presentava come garante degli interessi del “popolo vero” contro un sistema corrotto o distante. La figura dell’uomo solo al comando, sostenuto da una massa riconoscente e politicamente “emozionale”, trova eco nel Conte che, durante la pandemia, parlava direttamente alla nazione con toni rassicuranti ma anche fortemente identitari.
L’uso di toni paternalistici, l’appello al bene comune e al “sacrificio” per la patria, la capacità di trasformare un tecnocrate in una figura empatica e “vicina” ai cittadini sono elementi che Conte ha condiviso con il peronismo. Tuttavia, a differenza di Perón, Conte non ha mai avuto alle spalle un movimento strutturato e autonomo: ha sempre agito come rappresentante di partiti altrui, dal M5S al PD.

Mussolini: un populismo nazionale e sovranista?
I riferimenti a Benito Mussolini vanno trattati con cautela. Sebbene Conte non abbia mai espresso simpatie per il fascismo storico – e abbia anzi sempre difeso la Costituzione repubblicana – è possibile individuare alcune assonanze nei metodi e nelle posture simboliche. Mussolini, come Conte, iniziò come outsider del sistema, costruendo il proprio consenso su una crisi istituzionale e sulla sfiducia nei confronti delle classi dirigenti liberali.
Come il Mussolini delle origini, anche Conte ha spesso dato voce al malcontento diffuso, trasformandolo in capitale politico. La sua critica alla NATO, alla “deriva bellicista” dell’Europa, alle decisioni opache delle istituzioni sovranazionali, si ricollega a una visione fortemente nazional-popolare, che richiama non tanto il fascismo autoritario, quanto piuttosto il sovranismo democratico delle origini mussoliniane. Non a caso, Conte ha raccolto simpatie tra settori della destra radicale e tra i nostalgici del non-allineamento.

Un populismo senza dottrina
Ciò che distingue Conte sia da Perón che da Mussolini, tuttavia, è l’assenza di una dottrina. Il populismo contiano non si è mai strutturato in una visione organica della società, dell’economia o dello Stato. È stato, piuttosto, un populismo di situazione, capace di adattarsi alle crisi (pandemia, guerra, inflazione) per ritagliarsi uno spazio nel cuore dell’elettorato, soprattutto quello meridionale, indebolito e volatile. In questo senso, Conte ricorda certi leader della “terza via” latinoamericana o certi ex tecnocrati trasformatisi in portavoce del disagio sociale.
Paragonare Conte a Perón o Mussolini serve a comprendere la natura profonda del suo populismo, che si fonda sul rapporto diretto con il popolo, sulla critica alle élite e su una narrazione salvifica della propria leadership. In un’Italia priva di forti identità partitiche, questo modello può funzionare ancora a lungo e portare a esiti infausti per la democrazia

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