Droni russi in Polonia e cuccioli di leone

Droni russi in Polonia

“Gli europei hanno reagito da soli all’aggressione russa sulla Polonia, con un’azione militare coesa da parte della componente europea dell’Alleanza, e in particolare di elementi fra quelli considerati meno “bellicosi” sia da parte dell’opinione pubblica occidentale sia da parte dei russi. Un passo talmente piccolo da essere passato inosservato. Ma ogni cucciolo di leone emette il suo primo ruggito e sferra la sua prima zampata.”

Il commento postato su Facebook colonnello Orio Giorgio Stirpe sullo sconfinamento dei droni russi sulla Polonia e sulla reazione della NATO. Lo salvo qui per chi non frequenta i social di Meta.

Siamo letteralmente sommersi dai commenti su quanto accaduto durante la notte fra il 9 e il 10 settembre che è già difficile scrivere qualcosa di nuovo in merito, ma ho volutamente aspettato un giorno per essere sicuro di avere abbastanza conferme prima di dire la mia.
Innanzitutto, vediamo l’aspetto puramente tecnico-militare. L’azione russa è stata effettuata spedendo in Polonia un certo numero di droni d’attacco (cioè bombardieri suicidi) di quelli normalmente impiegati per gli attacchi di saturazione in Ucraina: meno di mille chilometri di raggio d’azione, poco sofisticati e di potenza limitata, efficaci solo se impiegati a massa. Non si è quindi trattato di una missione di ricognizione strategica o altro di particolarmente sofisticato: l’azione era fine a sé stessa. Inoltre, a scanso di equivoci, i droni erano disarmati, cioè erano privi della carica esplosiva: inerti quanto un drone giocattolo.
Questo significa due cose. Prima di tutto, non si è trattato di un “attacco”, ma di uno sconfinamento: NON un caso da Articolo 5. In secondo luogo, è evidente che non si è trattato di un incidente: lo sconfinamento era voluto, visto che i droni erano equipaggiati appositamente per evitare di fare danni significativi (come accaduto appunto per errore nel 2022, quando due contadini polacchi rimasero uccisi), e quindi la provocazione è lampante.
Il passo successivo per farsi un’idea realistica dell’accaduto, è chiedersi il perché: cosa ha spinto il Cremlino a pianificare questa azione collaterale nell’ambito del suo bombardamento strategico settimanale sopra l’Ucraina?
A questo punto del conflitto, sulla scorta di quanto dedotto in precedenza dall’azione russa, appare ragionevole individuare un duplice scopo da parte del nemico (è lecito definirlo tale in quanto opera in maniera cinetica contro obiettivi che appartengono a noi). Il primo è chiaramente saggiare le difese NATO sul fianco orientale dell’Alleanza: un’azione militarmente comprensibile da parte di un potenziale avversario dalle intenzioni bellicose che intenda verificare se le nostre effettive modalità operative corrispondono davvero a quanto annunciato e presumibilmente pianificato, in modo da adeguare le sue proprie forze ad un eventuale scontro reale. Il secondo è un’ulteriore escalation nell’ambito della guerra ibrida, che ha come obiettivo l’opinione pubblica occidentale che, come sappiamo, rappresenta il punto debole del sostegno esterno all’Ucraina e costituisce la famosa unica variante rimasta per la definizione del conflitto.
Circa la tempistica (perché adesso?), dobbiamo tornare ancora una volta al “cigno nero” in campo occidentale: il “fattore Trump”. Il Presidente americano ha almeno apparentemente indebolito la solidarietà occidentale e procede in maniera ondivaga fra una equidistanza tesa a favorire un ruolo di mediazione e un sostegno esterno all’azione dei suoi vecchi alleati europei; nelle ultime settimane è sembrato oscillare maggiormente verso una posizione meno gradita al Cremlino (appesantimento potenziale delle sanzioni contro la Russia), e quindi nella logica brutale del Regime russo era il momento opportuno per sferrare un “colpo” potenzialmente destabilizzante, in una logica al rilancio che ha caratterizzato la strategia di Putin fin dall’inizio. La NATO appare potenzialmente debole – o sicuramente meno coesa di prima e in crisi di trasformazione – quindi è il momento di sfidarla, anche se le forze effettive della Russia sono in crisi a loro volta a causa del fallimentare conflitto in Ucraina. Insomma, nell’ottica del Cremlino un’occasione da non perdere e da sfruttare prima che si possa verificare un possibile riavvicinamento fra le due sponde dell’Atlantico.
L’esito dell’operazione russa non risulta in alcun modo sorprendente: la reazione della NATO è stata tecnicamente quella prevedibile. Per certi versi – come evidenziato dal generale Hodges – del tutto sproporzionata, con l’impiego di strumenti estremamente sofisticati e costosi (come gli F-35 olandesi o il G-550 CAEW italiano) contro bersagli effimeri come i droni “Geran” russi; ma è un fatto che il riarmo occidentale, che prevede fra le sue priorità proprio la difesa anti-drone da effettuare con strumenti adeguati, è ancora agli inizi e quindi tocca usare ciò che si ha a disposizione. Del resto, questi strumenti sono presenti e attivi in ogni caso in Teatro, non sono “a perdere” come i droni, e il loro intervento può facilmente essere derubricato a opportunità addestrativa.
Di fatto, per i russi come per l’Alleanza, la reazione della NATO ha confermato le procedure e le capacità tecnico-militari in campo occidentale.
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Quello che però finora non ho visto porre sufficientemente in evidenza nei commenti che ho avuto modo di seguire, sono due aspetti politico-militari assai più fondamentali – e quindi più interessanti – di quelli tecnico-militari discussi finora.
Il primo è l’automaticità della risposta della NATO.
Questa “automaticità” è un fattore fondamentale della difesa collettiva che si colloca al cuore della dottrina NATO, e che rappresenta il cardine della difesa europea. La guerra ibrida del Cremlino, e in particolare la propaganda volta a minare la coesione fra gli Alleati tende a mettere in dubbio l’ineluttabilità dell’Articolo 5 dell’Alleanza: l’idea è convincere l’opinione pubblica che in caso di attacco ad un componente minore della NATO, le Nazioni si metterebbero a discutere su come reagire, e alla fine molte di loro si tirerebbero indietro sotto la pressione di un’opinione pubblica spaventata. Si tratta di un concetto politicamente inquietante e quindi affascinante per un pubblico che ama sfoggiare disincanto e pessimismo quali prove di saggezza, ma del tutto destituito di fondamento a causa della realtà fattuale dell’organizzazione politico-militare dell’Alleanza, che è andata costruendosi decennio dopo decennio IN SEGUITO alla stipula del famigerato Art.5. L’ineluttabilità della coesione militare occidentale non nasce dalla convinzione dei rappresentanti politici, ma dalla commistione degli strumenti militari nazionali in un’organizzazione di Comando e Controllo operativa comune, dotata di procedure prefissate che prevedono reazioni automatiche a minacce predefinite.
Tradotto: quando i russi (con aerei o carri armati, pilotati o automatizzati non conta) passano il confine, le forze NATO presenti li affrontano automaticamente sotto la direzione della Catena di Comando operativa dell’Alleanza e secondo pianificazioni e Regole di Ingaggio approvate a priori da quelle nazionali. Insomma: gli F-35A olandesi, i Patriot tedeschi e il G-550 CAEW italiano NON HANNO DOVUTO ASPETTARE L’AUTORIZZAZIONE DEI GOVERNI DELL’AIA E DI ROMA per intervenire, ma hanno agito direttamente in base agli ordini dei rispettivi comandi NATO sotto il cui controllo operativo erano stati posti a priori dalle rispettive autorità nazionali.
Per chi non avesse afferrato un concetto che per i militari è un’ovvietà: in caso di aggressione, le forze militari delle Nazioni si troverebbero in combattimento prima ancora che i rispettivi Governi ne fossero a conoscenza; questo non per tagliarli fuori, ma per garantire la prontezza della reazione in caso di attacco di sorpresa (sì, anche di attacco NUCLEARE), e per assicurare le Nazioni più esposte contro eventuali titubanze dell’ultimo momento da parte di quelle geograficamente non immediatamente coinvolte. La cosa non solo è ovviamente data per scontata dai Governi (che infatti hanno appositamente delegato alla catena di Comando NATO il controllo operativo di parte delle loro Forze Armate per garantire la prontezza e coesione della risposta a un’aggressione), ma è anche perfettamente nota al potenziale aggressore, cioè a Putin.
In questo contesto, l’azione russa può benissimo essere vista come un test mirato per verificare che questo automatismo sia tuttora presente nella catena di comando occidentale; e in tal caso il test risulta abbondantemente superato.
Questo ci porta al secondo aspetto che trovo essere finora sottovalutato nei commenti.
La risposta militare automatica offerta dalla NATO a quello che è stato il primo vero episodio di violazione massiccia dello spazio aereo europeo, come abbiamo detto ha coinvolto elementi tattici alleati appartenenti a Polonia, Olanda, Germania e Italia. NON ha coinvolto elementi britannici o francesi, generalmente considerati i più politicamente “bellicosi” fra quelli europei, ma soprattutto NON HA COINVOLTO ELEMENTI AMERICANI.
Gli europei hanno reagito da soli: una reazione militare coesa da parte della componente europea dell’Alleanza, e in particolare di elementi fra quelli considerati meno “bellicosi” sia da parte dell’opinione pubblica occidentale sia da parte degli analisti russi.
Un piccolo passo, talmente piccolo da essere passato inosservato. Ma ogni cucciolo di leone emette il suo primo ruggito e sferra la sua prima zampata.

Il post originale è qui e qui c’è una chiosa di nane Cantatore.