
Bastava pochissimo per capire che non era davvero il caso di dar sfogo alla quotidiana dose di indignazione da tastiera: un’occhiata alle foto, un due più due sui tempi. E infatti ecco che puntualmente arriva il debunking inoppugnabile sulla storia di Alaa al Najjar, l’improbabile pediatra di Gaza con dieci figli, di cui nove ammazzati da IDF.
Le foto palesemente fasulle mi avevano fatto subito pensare (qui e qui oltre che in vari post su Facebook tra cui questo) che tutta la storia fosse l’ennesima balla – non la prima, non l’ultima – della propaganda sovversiva che lavora con enorme impegno in Italia. Siamo in guerra e questa vicenda lo dimostra.
Io l’avevo capito, ma non mi aspetto le scuse di chi – non solo proPal assatanati, anche persone normali, amici e acquaintances telematici – si è fatto tirare dentro dall’operazione di disinformazione e mi ha insultato sui social per non aver essermi schierato con gli indignati. Capita a tutti di prendere una cantonata, anche se dispiace vedere che pochissimi imparano dall’esperienza.
Però da cittadino mi aspetto le scuse di tutti i rappresentanti delle Istituzioni che hanno condiviso la bufala con sdegno e prosopopea. E da lettore mi aspetto le scuse dei giornali a cui sono abbonato (Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 ORE), che hanno pubblicato acriticamente e con enorme risalto una notizia palesemente falsa, senza verificarla come sarebbe preciso dovere di chi fa informazione.
Il “Khan Yunis debunking” per chi è interessato ai fatti è qui. Ma non mi faccio illusioni: alla prossima sceneggiata di Pallywood amici, acquaintances, istituzioni e media saranno tutti di nuovo lì a strapparsi le vesti, a pontificare contro “i sionisti” e a insultare chi si azzarda a sollevare qualche perplessità, anziché unirsi acriticamente al coro. La legge di Brandolini purtroppo lascia poche speranze.