I mondeghili milanesi (quasi) come si facevano una volta

Mondeghili milanesi

Mondeghili: non si sa molto sul significato del termine. Francesco Cherubini nel suo Dizionario Milanese-Italiano (Milano 1839), scrive: “Mondeghili: specie di polpette fatte con carne frusta, pane, uovo, e simili ingredienti”. Dell’origine della parola si sa poco, l’ipotesi più accreditata leggendo in giro per la Rete è che di tratti della trasformazione di un’etimologia araba importata ai tempi della dominazione spagnola a Milano (1535-1714): “al-bunduc” (carne tritata e fritta) diventato “albondiga” in Spagna, poi “bondighitos” e successivamente  “mondeghili” a MIlano.

Qualunque sia l’origine del vocabolo e della ricetta, i mondeghili sono oggi una delle meraviglie di Milano, messi in disparte dalla spocchiosa cucina creativa piccolofrancese di fine millennio scorso (nell’epoca oscura della “Milano da bere”) e riapparsi con il ritorno in voga delle tradizioni di Milano ai fasti che meritano.

La descrizione del Cherubini è talmente generica che uno ci potrebbe metter dentro qualunque cosa, ma io mi attengo ai racconti di mio padre Luigi Biraghi bambino, che ricordava i mondeghili fatti dalla Emma (lavorante nel negozio di piume di struzzo della nonna Ida), una pietanza che superava in prelibatezzza qualunque dolce e che sua mamma, la nonna Ida (invero non una gran cuoca, visto che vedova fin dalla spagnola del 1916 doveva mandare avanti la baracca e tempo per cucinare ne aveva poco), aveva imparato a rifare molto bene, con gran gioia della famiglia.

Secondo Luigi Biraghi, i due ingredienti essenziali usati dalla Emma per dare il giusto sapore ai mondeghili erano la mortadella (o meglio la “Bologna”, come disem nun a Milan) e l’amaretto sbriciolato.

Un’altra caratteristica importante deriva dalla finalità della ricetta, quella di godé la càrna frusta (usare la carne avanzata), che quasi sempre a Milano era il lesso: e dunque i mondeghili si fanno con la carne cotta.

La terza caratteristica è l’impanatura, ovviamente estranea alla tradizione arabo-ispanica, che io attribuisco a una successiva contaminazione con la “wiener schnitzel” arrivata nel Ducato di Milano con la dominazione austriaca (1714-1797) ed entrata con prepotenza nella tradizione meneghina come cotelètt, il più celebre piatto sotto la Madonnina a pari dignità con il risotto e certamente più popolare di altre ricette anche più antiche come “ossbus” e “casoeula”.

Messe insieme informazioni e ricordi, ho quindi elaborato la mia ricetta che si avvicina molto, per gusto e consistenza, ai mondeghili della nonna Ida prediletti da me e da mio padre.

Per fare una trentina di polpette di 3-4 centimetri servono:

g 500 di polpa trita di manzo
g 250 di polpa trita di maiale
g 100 di salsiccia fresca
g 100 di mortadella di Bologna passata nel blender
2 michette
un bicchiere di latte
pepe
noce moscata
g 150 di amaretti sbriciolati
abbondante grana padano grattuggiato a scagliette
un po’ di pan grattato
6 uova
farina
l 1 di olio di semi di arachidi

Visto che i mondeghili milanesi si fanno con la carne cotta e io non faccio il lesso (quindi non mi può avanzare) faccio saltare manzo, maiale e salsiccia sbriciolata. Non uso condimento, basta il grasso della salsiccia. Raggiunto il (poco appetitoso) color grigetto chiaro metto a raffreddare. Nel frattempo faccio a pezzetti la michette, le metto in una fondina e le copro col latte.

A questo punto finisce tutto nel grande ciotolone di vetro Ikea: carne, mortadella, pepe, noce moscata, grana, quattro delle sei uova, gli amaretti, le michette a pezzi ben strizzate e sbriciolate. Impasto il tutto con le mani fino a ottenere un bell’impasto omogeneo, copro con la pellicola e metto in frigorifero per qualche ora. A questo punto si sbattono le due uova residue e si fanno le polpette, usando la farina per evitare che l’impasto si appiccichi sulle mani e le si impanano.

Per non impestare la casa con la puzza di fritto ho allestito un piccolo spazio di cottura sul balcone don una magnifica piastra a induzione comprata su Amazon. Friggo 5-6 polpette alla volta in una pentola alta (per evitare che l’olio trabocchi quando schiuma un po’) da 20 centimetri di diametro: l’olio di semi di arachidi ha il punto di fumo a 180 gradi, quindi mi consente di friggere bene a 150 gradi senza che si alteri la struttura molecolare diventando tossica.

Calo i mondeghili con un ramaiolo di silicone e li lascio friggere da cinque a sei minuti, mescolando delicatamente a metà cottura, poi li tolgo, facendo sgocciolare bene dal ramaiolo e li adagio su un foglio di cartapaglia per assorbire i residui di olio. E’ importante lasciare che l’olio torni in temperatura prima di mettere le nuove polpette.

Intermezzo sulla frittura. Sì, lo so, a Milano un tempo si cucinava solo con lo strutto o col burro, tanto che di un meridionale si diceva “el fa da mangià con l’oli”, come fosse una cosa disdicevole. Per ovvie ragioni oggi questi deliziosi grassi per il fritto sono stati sostituiti dall’olio di semi. Nulla però vieta di fare uno strappo alla regola, sostituendo il pentolino da 20 centimetri con una bella padella e il litro d’olio con un panetto di burro da mezzo chilo, servendo i mondeghili caldi e coprendoli col burro fritto, con lite di prammatica per pucciare la padella. Fine intermezzo.

Porto in tavola in una ciotola di dimensioni adeguate foderata con un foglio di cartapaglia. Si mangiano tiepide, salate all’ultimo momento. Ci vedo bene un rosso mosso dell’Oltrepo o dell’Emilia, poco alcolico e molto vinoso. Anche fresco.