Bernard-Henri Levy e le bugie su Israele a Gaza

Bernard-Henri Levy e le bugie su Israele

Bernard-Henri-Levy e le  bugie su Israele a Gaza, ossessivamente rilanciate da gran parte dell’informazione e da tantissime persone, anche in buona fede, che non si accorgono di fare il gioco di Hama. L’articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2025  su La Stampa.

Occupazione, carestia, genocidio. Le tre bugie che vanno smontate.

di Bernard-Henri Levy, da La Stampa

Può essere riaffermata da Ong rispettabili, tra le quali “Action contre la faim” che ho contribuito a fondare. Può essere ripresa «con il cuore spezzato» da David Grossman, uno dei miei amici che in compagnia di Salman Rushdie, Amos Oz, Susan Sontag e altri ancora collabora alla rivista La Règle du jeu che da trent’anni ho voluto che fosse impegnata nella lotta per la libertà.
E, nondimeno, un’idiozia resta un’idiozia. Ecco tre esempi.

Israele non «sta rioccupando» Gaza. Alcuni lo auspicavano. Due ministri del governo Netanyahu hanno detto, in modo spudorato, di desiderarlo, oggi più che mai. Ma questa non è la strategia dell’esercito israeliano. Non è la posizione del governo israeliano. Non è, fino a nuovo ordine, quello che dice il primo ministro israeliano. Che si apprezzi o no quest’ultimo, che si desideri o no un suo allontanamento dalla scena politica, il minimo che si possa fare è ascoltarlo. E, se lo si ascolta, per esempio nella trasmissione di Fox News del 7 agosto, ci si rende conto che ha detto esattamente quanto segue: «per scacciare definitivamente Hamas, voglio che Tsahal assuma il controllo di Gaza». «Senza amministrarla» però, anzi passandone l’amministrazione non appena possibile a «un governo civile». Ha anche ripetuto: «Non vogliamo tenere Gaza, non vogliamo governare Gaza». Come essere più chiari di così? Come dire meglio di così che i suoi obiettivi di guerra non contraddicono quelli di Ariel Sharon quando, nel 2005, abbandonò l’enclave palestinese? Si può essere inorriditi da questa guerra. Si può scoprire che, da una parte come dall’altra, sta facendo un numero esorbitante di vittime. Ci si può chiedere se si è fatto tutto il possibile, davvero di tutto, per riportare a casa gli ostaggi. Ma non si possono dire idiozie. Non si può ripetere ad nauseam, con il tono di un perenne J’accuse: «Israele occupa Gaza… Israele è la potenza occupante a Gaza…».

Israele non «sta affamando» Gaza. Israele non usa la fame come un’«arma di guerra» a Gaza. Basterebbe non soltanto ascoltare ma guardare. Basterebbe guardare le centinaia di camion che hanno superato i controlli israeliani finalizzati ad accertare che non contenessero armi. Quei camion non stanno aspettando ai posti di frontiera, ma dall’altra parte della frontiera. Con i loro carichi di viveri e di medicine si trovano parcheggiati in territorio palestinese. E quindi, che cosa sta succedendo? Un po’, le organizzazioni autorizzate delle Nazioni Unite, incaricate di distribuire gli aiuti umanitari, non sono riuscite a impedire che fossero saccheggiati da Hamas o da bande di malviventi a questa collegate.

Poi, visto che sfamare la popolazione è urgente, Israele ha creato in tutta fretta con gli Stati Uniti la Gaza Humanitarian Foundation, malfunzionante, malpensata. Di essa le organizzazioni autorizzate hanno detto: «No grazie, chi ha fame può anche aspettare. Non si mangia questo pane, non si collabora con quella gente». Poi Israele ha rettificato: «D’accordo, allora lavoriamo con le organizzazioni autorizzate, a patto che controllino che tra di loro non vi siano operatori umanitari attivisti di Hamas». E le organizzazioni autorizzate hanno risposto: «Ah, no, adesso siamo noi a non volerlo. A Gaza c’è la guerra, le strade sono pericolose». «Va bene – ha risposto ancora Israele –. Apriremo tutti i giorni corridori umanitari dalle 10 alle 20 in determinate zone, in particolare Al-Mawasi, Deir al-Balah, Gaza City». Al che, le organizzazioni autorizzate hanno replicato: «Non basta ancora, vogliamo anche essere protetti e scortati da convogli militari ma, al tempo stesso non siamo molto sicuri di volerlo davvero, perché sono degli affamatori…». Sinceramente, chi bisogna incriminare per questo tragico fallimento? E chi può spezzare questo circolo vizioso di malafede di cui, come sempre, fanno le spese le popolazioni civili?

A Gaza non c’è un genocidio. Ci sono mucchi di morti. Ci sono bambini falcidiati nel fiore degli anni. E non ci sono pressioni su Hamas e sui suoi patrocinatori sufficienti a fermare questa guerra atroce. Le parole, però, hanno il loro peso. Chi dice genocidio dice piano, iniziativa concertata e mirata all’annientamento di un popolo perché è quel popolo. Ebbene, ancora una volta non è quello che sta facendo l’esercito israeliano. Forse, l’esercito israeliano sta facendo male quello che fa. Ma chi, sinceramente, farebbe di meglio in una guerra asimmetrica nella quale il nemico non si prefigge di proteggere il suo popolo, bensì di esporlo? Un nemico che non si pone l’obiettivo di ridurre al minimo i morti, bensì di incrementarli il più possibile, così che ogni martire diventi un trofeo e una ragione in più per continuare a combattere una guerra che non ha lo scopo ultimo di dare uno Stato ai palestinesi, bensì di toglierlo del tutto agli israeliani? Un esercito genocidario non impiega due anni per vincere una guerra in un territorio grande quanto un cantone svizzero. Un esercito genocidario non manda sms prima di aprire il fuoco e non agevola il passaggio di coloro che cercano di scappare e di allontanarsi dalle esplosioni. Un esercito genocidario non esfiltra ogni mese centinaia di bambini palestinesi affetti da malattie rare o oncologiche in ospedali di Abu Dhabi, nell’ambito di un ponte sanitario realizzato, a partire dal 7 ottobre, con gli Emirati Arabi Uniti. Parlare di genocidio a Gaza è un’offesa al buon senso, una tattica mirante a demonizzare Israele, un insulto alle vittime dei genocidi di ieri e di oggi.

 

Bernard-Henri Levy e le bugie su Israele