L’unicità della Shoah e dei suoi protagonisti

Gino Bartali il giusto

Ho ricevuto parecchie mail e commenti nei thread di condivisione della lettera aperta all’assessore Maran, in gran parte centrati sul tema (poco significativo) del “mi piace/non mi piace”. Rispondo con una riflessione postata sul mio wall Facebook per l’amico Marco Ferrari e riproposta qui in versione rivista e circostanziata.

Nella lettera aperta a Maran sottolineo l’evidenza di una serie di concause, in gran parte oggettive, che giustificano la mia opposizione al rifacimento del Giardino dei Giusti. Ma ce n’è un’altra che considero ancora più critica al di là della tutela del Monte Stella: il riposizionamento attuato da Gariwo della figura del “giusto”.

Innumerevoli persone nei secoli si sono sacrificate o hanno rischiato la vita per una buona causa e tutte meritano stima e riconoscenza. 
Ma se la Shoah è un evento unico e diverso, imparagonabile ad altri nella storia (e lo è, senza ombra di dubbio), ogni lavoro di memoria ne dovrebbe mantenere intatte le specificità che lo rendono tale. Tra queste specificità c’è sicuramente la figura del “giusto”, il gentile che ha rischiato la propria vita o si è sacrificato per salvare uno o più ebrei da deportazione e morte nei campi di sterminio nazisti.

Estendere il concetto di “giusto” ad altre vicende pur drammatiche e ad altre personalità pur altissime è un’operazione pericolosa, perché smonta la specificità di uno dei protagonisti della Shoah, quindi ne depotenzia la natura unica e tragica, offrendo un pericoloso assist al revisionismo che mira a ridimensionarne la portata assimilandola ad altri drammi nella storia.

C’à anche un problema di metodo: il “giusto” nell’accezione tradizionale è una figura su cui devono essere acclarati con certezza i fatti oggettivi, perché non sussistano dubbi, come ha fatto la commissione voluta negli anni 60 dalla Corte Suprema di Israele che ha identificato nel mondo circa  27mila “giusti”, certificandone il titolo secondo regole molto restrittive. Ma chi avrà il diritto (o l’onere) di assegnare la patente di “giusto” nel nuovo concetto allargato? Una commissione? Dei giurati? Il presidente di Gariwo? Siamo sicuri che il metodo sia corretto e soprattutto che l’iniziativa abbia un senso? La storia è una materia complessa e in divenire, basata sul dubbio, soggetta a costanti arricchimenti e riletture, che rimescolano nel tempo torti e ragioni, modificando la narrazione degli eventi. Solo sul “giusto” nella sua concezione originale dubbi non ce ne possono essere: è un gentile che ha salvato un ebreo dalla Shoah e tale resterà nei secoli. Nulla di più, nulla di meno, nessuna rilettura possibile, nessuna revisione.

Alla luce di questa riflessione penso dunque che l’azione di Gariwo – non solo per quanto riguarda il giardino al Monte Stella – vada in una direzione contraria rispetto alla conservazione della memoria della Shoah e dei suoi protagonisti nel tempo, come evento simbolico unico e incomparabile, come immutabile valore educativo per le generazioni a venire, da nutrire nella vita di ogni giorno: nelle relazioni, nelle scuole, nelle strade, nelle famiglie, nelle sedi delle istituzioni, nei luoghi di cultura.

Just my 2 cents.

PS ulteriori precisazioni in questo altro thread su Facebook a cui partecipa Gabriele Nissim, presidente di Gariwo.

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